Stress: come reagiscono mente e corpo

Il termine stress significa “pressione” e venne introdotto in medicina da Cannon nel 1929 (1) per analogia con la metallurgica (pressione su un metallo per metterne alla prova la resistenza). Il termine stress descrive la reazione da parte dell’organismo. Con stressor (o “evento stressante” o “fattore stressante”) si descrive i fattori di stimolo che causano la reazione di stress dell’organismo. I fattori stressanti possono essere:
Gravi: es. la morte di una persona cara;
Minori: es. traffico in strada;
Acuti: es. incidente;
Cronici: es. ambiente lavorativo ostile.
È merito di Hans Selye aver introdotto, nel 1936 (2), la nozione di “sindrome generale di adattamento” per descrivere il modo nel quale l’organismo fa fronte ad eventi stressanti.
Egli distingue tre fasi: fase di allarme, fase di resistenza e fase di esaustione.
Fase di allarme
Si tratta di una risposta difensiva di emergenza, che subentra dopo le prime 6/48 ore dall’inizio dello stress e prepara il corpo a rispondere istintivamente con la lotta e la fuga allo stimolo stressante. Ora, questo tipo di risposta nella specie umana è mutato, poiché la lotta corrisponde genericamente alla risposta aggressiva all’evento, mentre la fuga corrisponde all’emozione “paura” (dal greco “phobos” = fuga).
I sintomi della fase di allarme sono simili allo shock anafilattico. (2)
Vediamo ora cosa succede nel corpo a livello puramente fisiologico. Questo tipo di risposta è stimolata da un canale di reazioni ormonali fra cervello e surrene.
Sotto la regolazione dell’ipotalamo, l’ipofisi rilascia corticotropina che, a sua volta va a stimolare le ghiandole surrenali, in particolare la parte interna di queste ghiandole, quella midollare, che produce adrenalina, l’ormone dello stress per eccellenza.
Riversandosi nel flusso sanguigno, l’adrenalina produce all’interno del corpo alcuni cambiamenti funzionali.
- Il cuore batte più velocemente e la pressione arteriosa aumenta.
- Lo stomaco e l’intestino arrestano ogni movimento e secrezione: è per questo motivo che mangiare quando si è sotto stress significa introdurre cibo in uno stomaco inattivo: ciò può essere la causa di gonfiori gastro-duodenali, di nausea, crampi allo stomaco, digestione pesante, alle volte diarrea.
- Il retto e la vescica tendono a svuotarsi perché prima della lotta o fuga l’organismo deve liberarsi da pesi inutili.
- La bocca diventa secca sempre per evitare di inviare fluidi allo stomaco.
- Nel sangue si verifica un aumento della glicemia per poter disporre di un rifornimento energetico rapido. Questo comporta un aumento della domanda di insulina al pancreas per bilanciare questi zuccheri: ciò, a lungo andare, può però essere la causa, nelle persone predisposte, dell’insorgere del diabete o aggravarlo nei casi in cui sia ormai conclamato. È bene quindi evitare di utilizzare cibi ad alto contenuto di zucchero quando si è sotto stress, visto che il sangue presenta già di per sé livelli glicemici superiori al normale come risposta naturale. Quando siamo sotto stress tendiamo ad aumentare l’utilizzo del caffè (stimolo alle surrenali), di cibi dolci (stimolo del pancreas), dei cibi grassi (aumento del colesterolo): questo avviene perché la nostra tendenza è quella di amplificare la reazione di stress con l’intossicazione. Quindi, anziché lavorare sulla causa dello stress, spesso puntiamo ad aumentare la nostra resistenza ad esso innescando queste risposte di compensazione.
- Sempre a livello del sangue aumenta anche il colesterolo, un grasso ad alta energia proveniente dal fegato. A lungo andare questo rischia di depositarsi nei vasi sanguigni, in particolare nelle coronarie, provocandone l’indurimento (arteriosclerosi, infarto).
- Anche il ritmo respiratorio aumenta: le narici, la gola e i bronchi si dilatano, il respiro diventa più profondo e più rapido per aumentare l’apporto di ossigeno. Questo rappresenta un problema per chi fuma o per chi vive con un fumatore. Anche se non si aumenta il numero delle sigarette fumate, nella fase di forte stress aumenta proporzionalmente l’assorbimento di fumo e quindi il danno che già di per sé provoca.

Fase di resistenza
Quando lo stimolo stressante supera le 48 ore, il corpo tende ad abituarsi e subentra la seconda fase. È una risposta a lungo termine allo stress perché prepara il corpo alla resistenza e alla sopravvivenza nel tempo.
Questa reazione è stimolata dal cortisolo, un ormone prodotto dalla corteccia delle ghiandole surrenali che apporta anch’esso cambiamenti nell’organismo al fine di un buon adattamento allo stress.
- La pressione arteriosa cresce lentamente con i conseguenti scompensi che ne derivano.
- Il sistema immunitario si indebolisce sempre più a causa del cortisolo che inibisce il funzionamento delle ghiandole linfatiche (non mi ammalo finché mi trovo in pericolo) e tende a produrre un’atrofizzazione della ghiandola del timo direttamente proporzionale all’ipertrofia delle ghiandole surrenali generata dalla continua sollecitazione.
- L’eccesso di cortisolo riduce la resistenza dello stomaco al suo stesso acido con il rischio di conseguenti gastriti o ulcere gastroduodenali.
- E’ continuo il rilascio dei grassi nel sangue, con il progressivo aumento di colesterolo.
Fase di esaurimento

Se lo stress persiste oltre un mese, si entra nella fase di esaurimento: per l’iperattivazione delle ghiandole surrenali, l’energia deputata all’operazione di adattamento si esaurisce perché consumata dal fisico e dalla psiche: subentra la depressione, l’apatia, l’enorme stanchezza, lo svuotamento.
A questo punto l’organismo si ammala seriamente, in quanto l’accumulo di ormoni dello stress produce uno stato di elevata tossicità. Secondo Selye, la malattia rappresenta il tentativo da parte del corpo di reagire alla situazione critica, come un segnale di allarme che impone all’organismo di fermarsi. Vi sono naturalmente diversi livelli di sopraffazione, che vanno dal modesto senso di affaticamento, fino all’esaurimento psico-fisico.
Quando ci sentiamo “sopraffatti”, anche la nostra percezione conscia della realtà risulta alterata, poiché l’irrorazione sanguigna nel SNC risulta spostata dall’area frontale della percezione conscia a favore dell’area parietale sinistra che filtra i dati in entrata attraverso schemi interpretativi funzionanti come risposte istintuali. Viviamo di fatto in una realtà virtuale, guidati dai nostri schemi di comportamento più arcaici.
Secondo Selye la reazione allo stress ha un carattere fondamentalmente adattivo, che consente all’organismo di far fronte a nuove e più impegnative sollecitazioni ambientali.
Nelle originarie formulazioni dello stress, il fuoco maggiore dell’attenzione si poneva sulla varietà degli stimoli stressanti e sulla relativa uniformità delle reazioni fisiche derivate. Successivamente, con il crescente sviluppo delle discipline psicologico-comportamentali, si è cominciato a mettere in risalto la pregnanza delle variabili intervenienti fra stimolo e risposta. Appariva sempre più chiaro che la relazione fra stress e malattia non è di tipo semplice, ma dipende in consistente misura da differenze individuali sia biologiche sia di personalità, dal contesto, dalle risorse sociali a disposizione e, soprattutto, dalla percezione dell’evento stressante stesso.

Differenza tra eustress e distress
Già Selye nel 1956 (3) affermava che in realtà non ci sono stimoli stressanti oggettivi e assoluti ma che questi diventano tali a seconda di come la persona li interpreta, introducendo la differenza tra eustress e distress.
Nell’eustress c’è un livello considerevole di stress mantenuto nel tempo ma che si traduce nel raggiungimento di un obiettivo e in un miglioramento personale o professionale.
Il distress può avere sia un livello elevato di stress e una durata prolungata nel tempo, sia un andamento più irregolare dove si alternano fasi di maggior calma a fasi di picco con stress elevato.
La seconda modalità è la meno adeguata per raggiungere obiettivi importanti e duraturi (che richiedono costanza e impegno continuo), quindi spesso si tratta di persone che reagiscono in modo contingente ad uno stressor, senza una programmazione sistematica con il rischio di non raggiungere risultati soddisfacenti e limitare la crescita personale e professionale.
È merito di R.S. Lazarus (4) avere integrato il modello di Selye con gli aspetti cognitivi connessi all’elaborazione soggettiva operata dalla persona circa gli specifici fattori stressanti. In secondo luogo, a fronte di fattori inequivocabilmente stressanti, persone diverse reagiscono con modalità e stili diversi. Lazarus distingue due tipi fondamentali di strategie di reazione.
Strategie focalizzate al problema: con le quali l’individuo intraprende azioni dirette alla soluzione del problema oppure ricerca informazioni che ne facilitino la soluzione oppure mette a punto un piano per far fronte al problema.
Strategie focalizzate sull’emozione: nelle quali la persona si sforza di ridurre le reazioni emotive negative, per esempio, distogliere la mente e distrarsi, cercando conforto in altri, sviluppare attività che inducano forti emozioni positive, assumere sostanze che contrastino le emozioni negative.
Un adattamento ottimale richiede che le strategie di reazione siano molteplici, flessibili e calibrate sulle specificità dei fattori o sugli eventi stressanti in gioco.
La risposta di stress è dunque modulata in un duplice modo dalle caratteristiche psicologiche della persona: nella fase di percezione ed elaborazione dei fattori stressanti e nella fase di fronteggiamento di detti fattori.
Le caratteristiche che intervengono a questo secondo livello e modulano le strategie di reazione allo stress sono denominate coping skills e l’intero processo di reazione e fronteggiamento dello stress è indicato con il termine di coping. L’attenzione di ricercatori si è rivolta, di conseguenza, alla misurazione dello stile di reazione allo stress e alla valutazione del coping.

Più di recente, nel 2007, è stata condotta una ricerca su studenti universitari che ha messo in luce proprio queste differenze, evidenziando che il modo in cui gli studenti affrontano lo stress universitario determina sia la qualità dei risultati, sia il livello di benessere psicofisico. (5)
Nel 2010 uno studio svolto presso il Pitzer College in California, ha dimostrato che maggiore è la soddisfazione personale, maggiore è l’eustress confermando che la qualità dello stress è determinata da fattori soggettivi più che dalle difficoltà in sè. (6)
La questione, quindi, non è mantenere l’omeostasi (tendenza naturale al raggiungimento di una relativa stabilità) ma di navigare continuamente in un’allostasi (la capacità di mantenere la stabilità per mezzo del cambiamento) che consente la crescita psico fisica.
Rivedendo le teorie dello stress alla luce del concetto di allostasi, la condizione di eustress si realizza quando il carico allostatico è a livelli medio-bassi mentre il distress si verifica quando i livelli sono medio-alti. Il livello di carico dipende da variabili psicologiche che sono state isolate in gruppi di persone statisticamente significative e sono: affetti positivi, ottimismo, autodeterminazione, speranza, resilienza e vocazione per l’obiettivo che si vuole raggiungere. Si può sintetizzare affermando che l’eustress è un processo psicofisico dopo il quale aumenta la capacità adattativa di una persona. (7)
È importante osservare che anche un basso livello di stress prolungato è un distress poiché la mancanza di obiettivi, produttività e creatività, sviluppa un senso di noia, apatia e assenza di senso esistenziale.
Già all’inizio degli anni ’80 uno studio della Federal Aviation Administration, dell’Oklahoma mise in evidenza in come lavori monotoni con stimoli ripetitivi in cui bisogna tenere un’attenzione costante, risultano stressanti perché richiedo sforzo e fatica ma senza nessuna soddisfazione. (8)
La capacità di rispondere allo stress in modo appropriato, quindi, si può imparare come anche le strategie per gestirlo nella fase acuta o per prevenirlo prima che diventi troppo travolgente.
Di certo gli stressor sono degli stimoli che fanno emergere ed evidenziano lo specifico modo di reagire della singola persona e, ogni volta, possono essere occasioni per subire un danno o trovare un modo per superare l’ostacolo e imparare nuovi modi di affrontare i problemi ed evolversi.

Bibliografia
(1) Cannon W.B. (1929). Bodily changes in pain, hunger, fear, and rage. New York: Appleton-Century-Crofts.
(2) Seyle H., (1936), A Syndrome produced by Diverse Nocuous Agents, Nature Vol.138, p.32
(3) Selye H. (1956), The Stress of Life, McGraw-Hill Education
(4) Lazarus, R. S. (1966). Psychological stress and the coping process. McGraw-Hill.
(5) Lucini D, et al (2007), Stress management at the worksite: reversal of symptoms profile and cardiovascular dysregulation. Hypertension; Vol.49(2), pp.291-7
(6) Geraldine O’Sullivan, (2010), The Relationship Between Hope, Eustress, Self-Efficacy, and Life Satisfaction Among Undergraduates, in Social Indicators Research, vol. 101, nº 1
(7) Kupriyanov R. and Zhdanov R., (2014), The Eustress Concept: Problems and Outlooks, World Journal of Medical Sciences 11 (2): 179-185, 2014
(8) Thackray R.I., (1981), The Stress of Boredom and Monotony: A Consideration of the Evidence, Psychosomatic Medicine, Vol. 43, No. 2
(9) Maunder, R.G., et al. (2001), Attachment and Psychosomatic Medicine: Developmental Contributions to Stress and Disease, Psychosomatic Medicine, Vol. 63 N.4, pp.556-567
Sitografia
Riferimenti
Gianpaolo Ragusa, psicologo, psicosomatologo. (gianpaolo.ragusa@gmail.com)
Mi occupo di supporto psicologico individuale con adulti (di persona e online) e di sostegno psicologico di coppia. Svolgo attività di formazione professionale per avvocati, educatori e assistenti sociali e di formazione alla cittadinanza a scopo preventivo, divulgativo e informativo.