Tutto sui PFAS: effetti sulla salute, inquinamento e regolamentazione
Cosa sono le sostanze PFAS?
Le sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) sono un gruppo di composti artificiali ampiamente utilizzati in molte applicazioni industriali e commerciali grazie alla loro resistenza al fuoco, all’acqua e all’olio. Tuttavia, la loro persistenza nell’ambiente e la loro capacità di bioaccumularsi negli organismi viventi hanno destato preoccupazione tra i ricercatori.
Sono sostanze impalpabili, ma sono ovunque e purtroppo si è scoperto tardi che i PFAS possono farci del male, che non siamo in grado di liberarcene e sono ubiquitari sul nostro pianeta. Per questo motivo sono anche chiamati “forever chemicals”, come afferma Gianluca Liva in un bellissimo articolo per Le Scienze di aprile 2023, che qui viene in parte sintetizzato.
Alcune curiosità sui PFAS
Uno studio condotto dal Dipartimento degli Stati Uniti per la Difesa ha rilevato che i PFAS sono presenti in quasi tutte le basi militari degli Stati Uniti e che ci sono seri rischi per la salute associati all’esposizione a queste sostanze. Oltre ad avere effetti dannosi sulla salute umana, l’esposizione a PFAS può anche causare danno agli ecosistemi acquatici, mettendo a rischio la sopravvivenza di varie specie di fauna acquatica.
Diversi studi cercano di determinare il meccanismo di bioaccumulazione delle sostanze perfluorurate. Ad esempio, uno studio condotto su persici reali ha rilevato che l’esposizione a PFAS può portare all’accumulo di queste sostanze nei tessuti dei reni, del fegato e del muscolo. Inoltre, un altro studio rivela che queste sostanze possono influenzare il sistema endocrino degli animali esposti.
Come sono nati i PFAS?
La nascita di queste sostanze viene attribuita ad un chimico americano, Roy Plunkett, che nel 1938 stava effettuando ricerche sui refrigeranti per frigoriferi, quando ha individuato un nuovo composto scivoloso e insolubile.
Si trattava del politetrafluoroetilene (Teflon TM), utilizzato come rivestimento, conferiva agli oggetti una formidabile resistenza alle alte temperature e le caratteristiche di idrorepellenza e antiaderenza.
Da quel momento la diffusione di queste sostanze è stata inarrestabile e la ricerca ha portato alla scoperta di numerosi altri composti.
I PFAS maggiormente diffusi sono PFOA e PFOS (ac. perfluoroottanoico e acido perfluoroottansolfonico).
Il primo è utilizzato come rivestimento della carta e dei capi di abbigliamento, il secondo utilizzato per schiume anticendio, vernici e per rivestire arredi.
Nella seconda metà degli anni novanta un allevatore del West Virginia vide morire numerosi capi del suo bestiame e segnalò alle autorità che qualcosa stava accadendo. L’avvocato Bilott si fece portavoce delle prime ricerche tossicologiche che legarono i PFOS agli studi tossicologici che ne dimostravano la pericolosità.
Nel 2006, un’indagine sulla presenza di sostanze perfluorurate nei fiumi europei, portò alla luce la presenza fuori misura dei PFAS in alcuni corsi d’acqua.
In Italia, in Veneto, l’attività di un’azienda di produzione di queste sostanze ha provocato danni importanti, un disastro ambientale.
Queste sostanze sono sfuggite per la produzione continua e sempre maggiore, anche a causa della disomogeneità nella nomenclatura delle sostanze che contengono composti di questo genere fino ad oggi.
Cosa sono i PFAS?
Wang, ricercatore capo al Politecnico federale di Zurigo, una delle figure centrali nella ricerca e definizione di PFAS, li ha descritti come “sostanze fluorurate che contengono almeno un atomo di carbonio metilico o metilenico completamente fluorurato”.
La questione della nomencaltura di queste sostanze sembra relegato al mondo della chimica pura, ma non lo è, in base alla definizione infatti si definisce quali e quante sostanze appartengano a tale categoria.
Intorno agli anni 2000, l’OCSE numerava circa 4700 appartenenti alla categoria dei PFAS, mentre l’EPA (Environmental Protection Agency), negli Stati Uniti, considera PFAS più di 14000 sostanze. Secondo le banche dati di PubChem i PFAS potrebbero essere più di 6 milioni. Il problema è, purtroppo, che la scienza pubblica ha studiato a fondo soltanto qualche decina di queste sostanze e le restanti sono del tutto ignote.
Perchè fanno male i PFAS?
Uno dei primi studi sulla pericolosità di queste sostanze risale al 1956, si scoprì che PFOA legava l’albumina nel sangue.
- Negli anni sessanta i primi studi tossicologici sui topi e conigli dimostrarono che in seguito ad esposizione ai C8 di ravvisava ingrossamento del fegato.
- Negli anni settanta si dimostrò che i PFAS provenienti dagli imballi alimentari si accumulavano nel sangue ed erano in grado di provocare danni al fegato.
- Negli anni ottanta si ravvisarono anche un potenziale di sviluppo anomalo degli occhi nei feti, la cui madre era esposta a queste sostanze, e una maggior incidenza tumorale nei lavoratori esposti alla produzione di PFAS.
Interferenza endocrina
Il possibile meccanismo d’azione di queste sostanze è legato al fatto che si coordinino con l’albumina nel sangue.
L’albumina è una proteina trasportatore che serve a trasportare attraverso il torrente circolatorio sostanze, come ad esempio ormoni (ad es. ormoni prodotti nell’ipofisi al fegato o al pancreas o alle ghiandole surrenali).
Quando una sostanza come uno PFOA si lega all’albumina occupa il posto che sarebbe altrimenti occupato da un ormone. E’ per questo motivo che queste sostanze vengono denominate “interferenti endocrini” di cui abbiamo già discusso nell’articolo dedicato, che interagiscono in diversi modi con i nostri sistemi di regolazione biologica.
In pratica queste sostanze ingannano l’organismo e ne alterano il funzionamento.
All’inizio del XXI secolo era chiaro che i PFAS si accumulano, insieme ai loro prodotti di degradazione, negli organismi biologici.
Al momento ci sono forti indizi che la presenza di PFAS nell’organismo possa comportare un rischio più elevato di malattie alla tiroide, tumori renali, tumori ai testicoli, aumento dei livelli del colesterolo, ridotto sviluppo del feto, danni al fegato, ritardo nello sviluppo delle ghiandole mammarie, minore efficacia delle vaccinazioni.
Purtroppo è molto difficile dimostrare una relazione netta tra esposizione ad una specifica sostanza ed insorgenza della malattia, come può avvenire nel caso di esposizione più o meno prolungata all’amianto.
Ci sono differenze tra PFAS a lunga e corta catena a livello di accumulo negli organismi biologici. Se i PFAS a lunga catena si accumulano, quelli a corta catena no, ma ne siamo esposti di continuo e quindi il loro flusso nell’organismo è costante e quindi non è possibile escluderne comunque la pericolosità.
Quale soluzione adottare per evitare i rischi di esporsi ai PFAS?
Eliminare queste sostanze sembra impossibile, dato la vastità della loro diffuzione.
Per evitare la dispersione nell’ambiente sono stati valutati i filtri a carboni attivi che però vanno manutenuti correttamente perchè se no la dispersione ricomincia. Inoltre per eliminare questi filtri esausti si utilizzano gli inceneritori, ma purtroppo i PFAS non si degradano alle temperature suppur elevatissime degli inceneritori e purtroppo si diffondono in aria attraverso i fumi, o percolano attraverso il terreno fino alle falde, ricadendo sulla terra per gravità o attraverso la pioggia.
Sono stati stabiliti dei limiti per proteggere le persone dal rischio di esposizione a queste sostanze: in Europa la direttiva sulle acque potabile fissa il limite a 0,5 microgrammi per litro per esposizione aggregata (cioè per la somma totale) di PFAS.
Le nuove linee guida proposte da EPA, negli Stati Uniti, indicano chiaramente come i limiti di accettabilità di queste sostanze siano quanto più prossimo a zero.
Si moltiplicano gli approcci di studio per sostituire l’utilizzo di PFAs con altre sostanze, ma la strada per la risoluzione sembra ancora lunga perchè gli approcci per la prevenzione nel mondo sono estremamente variabili e diversi.
L’Europa e l’America cercano di trainare azioni di prevenzione, ma America latina, Asia e Africa non adottano allo stesso modo il concetto di prevenzione, rendendo vani i tentativi di ridurre l’esposizione a livello globale.
Ultime novità normative
Se definire e classificare i PFAS è ancora complesso, le aziende che producono e vendono sostanze e miscele saranno comunque chiamate ad osservare il nuovo Regolamento Delegato (UE) 2023/707 (che modifica il regolamento (CE) n. 1272/2008 per quanto riguarda i criteri e le classi di pericolo per la classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze e delle miscele) col quale vengono classificate le sostanze Persistenti, Bioaccumulabili e Tossiche (PBT) oltre alla classificazione secondo pericolosità delle sostanze dotate di attività di interferenza endocrina, tema quest’ultimo che non verrà discusso in questo articolo.
Per persistenza, bioaccumulo e tossicità si intende, secondo questa norma:
Persistenza
Una sostanza è ritenuta persistente (P) quando soddisfa una qualsiasi delle condizioni seguenti:
- l’emivita di degradazione nell’acqua di mare è superiore a 60 giorni;
- l’emivita di degradazione in acqua dolce o di estuario è superiore a 40 giorni;
- l’emivita di degradazione nei sedimenti marini è superiore a 180 giorni;
- l’emivita di degradazione nei sedimenti di acqua dolce o di estuario è superiore a 120 giorni;
- l’emivita di degradazione nel suolo è superiore a 120 giorni.
Bioaccumulo
Una sostanza è ritenuta bioaccumulabile (B) se il suo fattore di bioconcentrazione nelle specie acquatiche è superiore a 2000.
Tossicità
Una sostanza è ritenuta tossica (T) quando si verifica una delle situazioni seguenti:
- la sua concentrazione senza effetti osservati (NOEC) a lungo termine o ECx (ad esempio EC10) negli organismi marini o d’acqua dolce è inferiore a 0,01 mg/l;
- la sostanza è classificabile come cancerogena (categoria 1A o 1B), mutagena di cellule germinali (categoria 1A o 1B) o tossica per la riproduzione (categoria 1A, 1B o 2).
- esistono altre prove di tossicità cronica, date dalla classificabilità della sostanza come sostanza con tossicità specifica per organi bersaglio dopo esposizione ripetuta (STOT RE categoria 1 o 2).
- la sostanza è classificabile come interferente endocrino (categoria 1) per la salute umana o l’ambiente.
Criteri di classificazione come vPvB
Persistenza
Una sostanza è ritenuta molto persistente (vP) quando soddisfa una qualsiasi delle condizioni seguenti:
- l’emivita di degradazione in acqua marina, acqua dolce o di estuario è superiore a 60 giorni;
- l’emivita di degradazione in sedimenti di acqua marina, acqua dolce o di estuario è superiore a 180 giorni;
- l’emivita di degradazione nel suolo è superiore a 180 giorni.
Bioaccumulo
Una sostanza è ritenuta molto bioaccumulabile (vB) se il suo fattore di bioconcentrazione nelle specie acquatiche è superiore a 5 000.
Questa norma stabilisce quali siano le modalità analitiche o di raccolta dati per valutare le caratteristiche di PBT o vPvB.
La norma ha determinato che le sostanze appartenenti a queste categorie vengano classificate ed etichettate come:
EUH440: si accumula nell’ambiente e negli organismi viventi, compresi gli esseri umani e
EUH441: si accumula notevolmente nell’ambiente e negli organismi viventi, compresi gli esseri umani.
In questo modo le aziende che cedono sostanze dovranno classificare, secondo i dati a loro disposizione, le sostanze e contribuiranno a chiarire meglio gli ambiti di competenza.
In conclusione
Alla base della norma riportata sopra due consideranda colpiscono l’autrice di questo articolo:
(2) Il Green Deal europeo (2) stabilisce l’obiettivo di una migliore tutela della salute e dell’ambiente nel quadro di un approccio ambizioso, teso a combattere l’inquinamento da tutte le fonti, per un ambiente privo di sostanze tossiche.
(3) La necessità di stabilire un’identificazione giuridicamente vincolante dei pericoli legati agli interferenti endocrini, sulla base della definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità del 2002 (3) e dei criteri già elaborati per i prodotti fitosanitari (4) e i biocidi (5), e di applicarla in tutta la legislazione dell’Unione è evidenziata nella comunicazione della Commissione «Strategia in materia di sostanze chimiche sostenibili — Verso un ambiente privo di sostanze tossiche» (6). La stessa comunicazione ravvisa inoltre la necessità di introdurre nel regolamento (CE) n. 1272/2008 nuovi criteri e classi di pericolo al fine di affrontare appieno i problemi di tossicità ambientale, persistenza, mobilità e bioaccumulo.
L’Europa è un modello internazionale per la tutela della salute e le ricerche sulle sostanze pericolose e si moltiplicano le azioni normative, le linee guida studiate da esperti e le inchieste, tra cui quella del “Forever Pollution Project” realizzato da gruppi giornalistici.
Bibliografia:
Le Scienze, aprile 2023, Gianluca Liva giornalista freelance e tra i fondatori di Radar Magazine; p. 36-43.
Reg. Delegato (UE) 2023/707