Challenge test per prodotti cosmetici: linee guida
Cos’è il challenge test?
Il challenge test è un test microbiologico che permette di valutare l’efficacia del sistema conservante in un prodotto cosmetico. Consiste nell’inoculo all’interno del prodotto da testare di una quantità nota di specie microbiche selezionate e nelle successive conte per valutare la diminuzione del numero dei microrganismi nel tempo. Si contamina quindi intenzionalmente il prodotto allo scopo di ottenere informazioni sul comportamento del sistema conservante in condizioni di stress microbiologico.
Perchè fare il challenge test?
Nei cosmetici sono spesso presenti sostanze che possono favorire la crescita di microrganismi ed essendo prodotti applicati direttamente sul corpo umano è molto importante che siano microbiologicamente controllati per evitare rischi per la salute del consumatore. Proprio per tutelare la salute dei consumatori esistono delle normative specifiche riguardo la sicurezza microbiologica dei cosmetici.
Nel Regolamento Europeo (CE) n. 1223/2009, allegato I Parte A (relazione sulla sicurezza del prodotto cosmetico) è indicato che le specifiche microbiologiche della sostanza o miscela e del prodotto cosmetico vanno riportate nella valutazione della sicurezza, compresi i risultati del challenge test. Anche in un altro documento dell’SCCS “Notes of guidance for the testing of cosmetic ingredients and their safety evaluation (11th revision)” viene ribadito che l’efficacia del sistema conservante di un prodotto cosmetico in fase di sviluppo deve essere provata sperimentalmente per assicurare la stabilità microbiologica e la conservazione durante il periodo di stoccaggio e di utilizzo da parte del consumatore. Sempre nello stesso documento si legge che il challenge test è obbligatorio per tutti i prodotti cosmetici che possono deteriorarsi o costituire un rischio di infezione per il consumatore in normali condizioni di conservazione e utilizzo.
Il challenge test però non è solo un test fondamentale per la sicurezza del prodotto, ma anche un’opportunità per il produttore. Infatti dall’analisi dei risultati dei challenge test condotti nel tempo su varie formule è possibile ottenere dei dati che possono aiutare ad individuare possibili criticità già in fase di ricerca e sviluppo, consentendo al produttore di attuare le modifiche necessarie a minimizzare il rischio di instabilità microbiologica prima di effettuare i test.
Come fare il challenge test?
Non esiste un metodo universalmente riconosciuto per l’esecuzione del challenge test e quindi la responsabilità della scelta del metodo ricade sulla persona responsabile. I metodi disponibili sono diversi, ad esempio:
- metodo UNI EN ISO 11930:2019
- metodo secondo farmacopea europea (PhEur, edizione in vigore) – metodo secondo farmacopea americana (USP, edizione in vigore) – metodo PCPC
- metodo ASEAN ACM 008
Il metodo UNI EN ISO 11930:2019
Il metodo UNI EN ISO 11930:2019 è forse il più noto ed utilizzato e prevede l’inoculo di 5 ceppi microbici derivanti da banche microbiche internazionali (ATCC, ENAC, ecc…). In particolare i ceppi previsti sono:
- Pseudomonas aeruginosa (ATCC 9027 o equivalente): batterio gram negativo aerobio ubiquitario, patogeno opportunista per l’uomo
- Staphylococcus aureus (ATCC 6538 o equivalente): batterio gram positivo, aerobio o anaerobio facoltativo, patogeno opportunista nell’uomo, che può essere causa, tra le altre, di infezioni cutanee.
- Escherichia coli (ATCC 8739 o equivalente): batterio gram negativo, aerobio o anaerobio facoltativo. La sua presenza/assenza può essere considerata indice del livello igienico poiché indicatore di contaminazione fecale
- Candida albicans (ATCC 10231 o equivalente): lievito patogeno opportunista, presente nella flora residente dell’uomo sia a livello orale che a livello vaginale
- Aspergillus brasiliensis (ATCC 16404 o equivalente): muffa comunemente presente nell’ambiente che può dare origine a gravi infezioni.
Il test prevede l’inoculo dei microrganismi in campioni di prodotto e la successiva incubazione a temperature prefissate. Si effettuano poi conte ad intervalli regolari (0,7,14 e 28 giorni) per valutare la riduzione della presenza dei microrganismi nel tempo secondo le indicazioni contenute nella norma ISO.
In base alla riduzione della popolazione microbica nel tempo, il prodotto potrà essere:
- conforme al criterio A: si considera il rischio microbiologico del prodotto controllato. Il prodotto è sufficientemente protetto dai microrganismi.
- conforme al criterio B: si considera il prodotto sufficientemente protetto dai microrganismi se sono presenti fattori di controllo aggiuntivi non correlati alla formulazione (ad esempio un packaging airless o monouso).
- non conforme né al criterio A né al criterio B: in questo caso il sistema conservante non è in grado di proteggere sufficientemente il prodotto. La valutazione del prodotto sarà condotta solo sulla base del risk assessment.
Quando effettuare il challenge test?
Il challenge test è un test che si fa sulla formulazione in fase di sviluppo. Si esegue quindi almeno una volta (se pertinente), prima dell’immissione in commercio del prodotto.
Essendo un test per la valutazione dell’efficacia del conservante non è applicabile nei cosmetici privi di conservanti. In questo caso si possono effettuare test microbiologici in condizioni che simulano l’uso da parte del consumatore (test “in use”). I test “in use” prevedono la consegna del prodotto ad un certo numero di consumatori che useranno il prodotto per un tempo stabilito (di solito non inferiore alle 4 settimane salvo prodotti con usi particolari) al termine del quale verranno effettuate analisi microbiologiche per verificare che anche dopo l’uso i prodotti siano microbiologicamente sicuri.
È possibile non eseguire il challenge test se i prodotti hanno un rischio microbiologico basso. La norma UNI EN ISO 29621:2017 definisce a basso rischio microbiologico i prodotti che hanno le seguenti caratteristiche:
- bassa attività dell’acqua (Aw, acqua libera disponibile per la crescita dei microrganismi)
- valori di pH molto acidi o molto basici che rendono il prodotto non adatto allo sviluppo microbico
- presenza di materie prime ostili alla crescita microbica (come alcol, ammoniaca, forti ossidanti, alcuni solventi ecc…) in concentrazioni opportune
- processo produttivo ostile alla crescita microbica, ad esempio trattamenti termici che impediscono la proliferazione
- packaging che limita il contatto con l’ambiente, come i flaconi airless o i packaging monouso
Riferimenti normativi sul challenge test:
- Regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio
- The SCCS Notes of guidance for the testing of cosmetic ingredients and their safety evaluation (11th revision)
- UNI EN ISO 11930:2019 – UNI EN ISO 29621:2017