Il cibo degli dei: il cacao
Theobroma cacao è un albero dell’America centrale.
Il suo frutto è grande, carnoso, lungo 12-25 cm, racchiude una polpa in cui sono immersi semi in file longitudinali. Della pianta si utilizzano i semi. Questi vengono tolti dal frutto dopo averlo fatto fermentare. I semi sono ovali, di colore rossastro o terreo.
Dal burro di cacao alle tavolette di cioccolato
Dai semi si ottiene il burro di cacao. Dopo la torrefazione e tolto il guscio, i semi vengono triturati in un mortaio e scaldati a 70/80 gradi C. per ottenere una pasta molle cui si aggiunge acqua. Questa pasta viene pressata in modo da far filtrare un olio che raffreddato si rapprende in burro. Questa è la droga di colore bianco-giallastro e di odore che ricorda il cacao torrefatto.
Principi attivi sono la teobromina (alcaloide) dimetilxantina ( affine alla caffeina) burro di cacao ( acido palmitico, stearico, arachico)
La pianta del cacao, originariamente spontanea nel bacino dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni, intorno al 1000 a.c. era già conosciuta nell’America centrale, nello Yucatan ove Maya, Toltechi ed Aztechi sembrano essere stati i primi coltivatori del cacao.
I Maya usavano i semi del cacao come moneta corrente e come unità di calcolo.
I semi erano utilizzati anche per produrre una bevanda in grado di stimolare la forza fisica e mentale.
Intorno al 1200 d.C. gli Aztechi imposero ai Maya conquistati di pagare i tributi in semi di cacao.
Cristoforo Colombo, al suo ritorno dall’America , riportò in Spagna dei semi di cacao che allora però vennero ignorati.
Fu soltanto nel 1528 che Donos Cortès importò in Spagna il cacao, chiamato “cacaute” La bevanda ottenuta però non fu gradita in quanto molto amara.
Intorno al 1600 si iniziò ad aggiungere zucchero, cannella e vaniglia e da allora la bevanda ebbe molto successo. In Olanda Van Houten inventò una macchina per estrarre il burro di cacao separandolo dalla polvere ed eliminando quindi l’acidità che dava un gusto acre.
Verso la fine del 1800, uno svizzero di nome Daniel Peter iniziò a produrre un cioccolato di consistenza solida aggiungendo del latte condensato al cacao.
Questo procedimento fu poi migliorato da un altro svizzero, Rudolph Lindt, che inventò un metodo originale per raffinare il cioccolato, ottenendo il cioccolato fondente.
Dopo la Spagna, il paese europeo in cui fu più conosciuto l’uso del cacao fu l’Italia. L’uso di preparare la cioccolata all’inizio fu limitato alle corti. La sua preparazione era curata da cameriere particolari dette “cioccolataie” in genere provenienti dalla Spagna e particolarmente abili nella preparazione di questa bevanda.
A Torino, la lavorazione del cacao è tradizione antichissima. Emanuele Filiberto di Savoia, ex generale dell’esercito spagnolo, introdusse i frutti del cacao nella nuova capitale del suo ducato, verso la metà del XVII secolo.
Alla fine del XVII secolo, Torino era la capitale indiscussa del cioccolato. Oltre alla cioccolata classica, si produceva la “bavareisa” composta da caffè, cioccolata e latte, in seguito conosciuta come “bicierin” dal nome del piccolo bicchiere in cui veniva servita, quello che noi oggi chiamiamo caffè marocchino.
Criollo, Forastero e Trinitario.
I tipi conosciuti di cacao sono tre: Criollo, Forastero e Trinitario.
Criollo, ovvero “Creolo” è un cacao originario del Messico. La sua produzione è piuttosto ridotta, in percentuale sulla produzione mondiale, il Criollo si limita al 3%. Si tratta di un cacao di qualità molto elevata ma viene usato raramente da solo proprio per la scarsa disponibilità.
Forastero ovvero “straniero” è un cacao di qualità mediocre, proveniente dal bacino dell’Amazzonia, che tuttavia fornisce circa l’80% della produzione mondiale.
Infine vi è il Trinitario, cioè un ibrido fra la varietà Criollo e Forastero. Si chiama così perché proveniente dall’isola di Trinidad. Si tratta di un cacao di buona qualità che fornisce il 10/15% della produzione mondiale ed ha caratteristiche intermedie tra il Criollo e il Trinitario. Brasile, Costa d’Avorio e Ghana sono i maggiori produttori di fave di cacao ed esportano in tutto il mondo.
Il cacao in polvere o la tavoletta di cioccolato che siamo abituati ad usare è il risultato di un lungo procedimento di lavorazione. Innanzi tutto, vi è la raccolta che di per sé è un procedimento delicato: i frutti devono essere raccolti manualmente e subito spaccati con i machete (appositi coltelli).
Subito la polpa contenente i semi avvolti da una mucillaggine zuccherina viene messa sotto terra in cesti coperti da foglie di banano in modo da dare avvio alla fermentazione, processo che dura da 1 a 7 giorni a seconda della varietà dando luogo a reazioni chimiche che svilupperanno l’aroma del cioccolato. Questo processo di fermentazione è molto importante e molto delicato: infatti se non svolto correttamente, l’aroma non si svilupperà adeguatamente.
Le fave fermentate subiscono poi un processo di essiccamento, fondamentale per la conservazione del prodotto. Questa fase di essiccamento può avvenire al sole ove il clima lo consente, oppure in essiccatoi in corrente d’aria calda a 60°C.
A questo punto le fave di cacao giungono alle fabbriche di lavorazione ove vengono conservate in modo controllato affinchè non assorbano odori. Il cacao, come il caffè, assorbe facilmente gli odori e questo può comprometterne le caratteristiche.
Infine dopo essere state ripulite, le fave di cacao vengono torrefatte ad una temperatura di 120/150°C. E’ questa una operazione delicata da effettuarsi con cura per non compromettere la pienezza dell’aroma. Questa miscela torrefatta che contiene circa il 50/60% di burro di cacao diventa fluida; abbiamo così la “pasta di cacao” da cui si procederà per ottenere il cacao in polvere o il cioccolato.
Le tavolette di cioccolato vanno conservate ad una temperatura di circa 16/18°C. per evitare affioramenti di burro di cacao che danno una patina bianca o di zucchero (patina grigiastra).
Immagine copertina: Fave di cacao e baccello di cacao con polvere di cacao su una superficie di legno Di Hans Geel