La biodegradabilità degli ingredienti cosmetici: focus siliconi
La biodegradabilità
La Treccani definisce la biodegradabilità come “la possibilità, inerente alla struttura molecolare, che una sostanza o un prodotto hanno di subire la biodegradazione”.
In pratica si intende biodegradabile qualunque prodotto o sostanza che immesso nell’ambiente venga degradato. Per degradazione si intende che un composto si riduca in molecole più semplici e innocue per l’ambiente in cui viviamo. Si potrebbe anche dire che la biodegradabilità è una misura del tempo che l’ambiente naturale impiega a eliminare una determinata sostanza.
Come fanno a decomporsi le sostanze nell’ambiente? Immaginiamo una sostanza riversata nel terreno e qui, ad opera di alcuni batteri specializzati, la tal sostanza sia degradata; immaginiamo quindi condizioni specifiche e particolari come ad esempio assenza di luce, densità apparente del terreno (importante per determinare la quota di ossigeno disponibile per la fermentazione), temperatura e umidità caratteristiche ed infine l’ingrediente fondamentale: il batterio in grado di decomporre proprio quella sostanza.
I prodotti che non possono subire questo processo sono detti non biodegradabili e per fare alcuni esempi parliamo di plastica e vetro.
I prodotti biodegradabili ed i loro tempi di degradazione sono invece ad es.:
- un tovagliolo di carta in circa due settimane,
- un torsolo di mela si degrada in circa due mesi,
- un mozzicone di sigaretta con filtro circa un anno,
- un barattolo di latta circa cinquanta anni e
- una bottiglia di plastica in 100-1000 anni.
Come stabilire la biodegradabilità delle sostanze utilizzate in cosmesi?
Le sostanze di cui si valuta la biodegradabilità in cosmesi sono principalmente i detergenti così come disciplinati dal Reg. 648 del Parlamento EU del 31 marzo 2004 e successive modifiche ed integrazioni che sono pertanto regolamentate per legge e hanno chiave di lettura univoca.
Tutti i tensioattivi usati nei detergenti (anionici, nonionici, cationici, anfoteri) devono essere completamente biodegradabili (biodegradazione aerobica).
Numerose sostanze possono essere analizzate dal punto di vista della biodegradabilità: i siliconi, le microplastiche, gli oli vegetali (ad es. alimentari).
La biodegradazione può essere:
- Biodegradazione completa: quando ad es. un tensioattivo si scinde in biossido di carbonio, acqua e sali minerali e assorbito nell’ambiente.
- Biodegradazione primaria: quando un tensioattivo perde la sua proprietà tensioattiva. dovrebbe portare direttamente a composti meno tossici meno stabili e più facilmente degradabili di quelli iniziali.
La biodegradazione si rivela molto importante per ridurre gli effetti negativi che le sostanze possono avere sull’ambiente attraverso gli scarichi civili ed industriali nel caso dei tensioattivi. Sono permesse deroghe solo per i detergenti per uso industriale ed istituzionale sulla base di una “valutazione di rischio”.
In questa trattazione ci concentreremo sulla biodegradabilità di sostanze utilizzate nei cosmetici che non possiedono una specifica regolamentazione apposita come siliconi, microplastiche, oli vegetali etc
Tali sostanze sono regolamentate sotto il profilo del rischio per la salute fondamentale per quanto concerne la valutazione di sicurezza, ma sotto il profilo ambientale sono considerate “cattivi ingredienti”.
Il parametro normalmente adottato per queste sostanze sono le linee guida OCSE riguardanti la biodegradabilità.
Le norme OECD 301
Le linee guida dell’OCSE per il test delle sostanze chimiche sono una raccolta di circa 150 dei più rilevanti metodi di test.
I test OECD 301 e 302 riguardano la biodegradabilità delle sostanze di nostro interesse, le sostanze utilizzate in cosmesi.
Le sostanze chimiche che superano i test OECD 301 non devono essere ulteriormente testate perché per tali sostanze è prevista un’elevata biodegradabilità negli impianti di trattamento delle acque reflue. La misurazione si basa su parametri non specifici come DOC, BOD o CO2. Sviluppato per ideare metodi di screening per determinare se una sostanza chimica è potenzialmente facilmente biodegradabile, piuttosto che per prevedere il tasso effettivo di biodegradazione nell’ambiente.
Un materiale è considerato prontamente biodegradabile se il 60% (per OECD 301 B-D e F) o il 70% (per OECD301 A ed E) di degradazione viene raggiunto entro una finestra di 10 giorni in 28 giorni. La finestra di 10 giorni è definita come inizio quando si raggiunge il 10% del degrado e termina dopo 10 giorni da questo punto (ma prima del 28° giorno).
Se un campione supera i test, è considerato facilmente biodegradabile e si presume che possa subire una rapida e definitiva biodegradazione nell’ambiente. Pertanto non sono normalmente necessarie ulteriori indagini sulla biodegradabilità, sulla tossicità o su altri effetti ambientali.
Se un campione non supera i test, non significa necessariamente che non possa essere degradato in condizioni più realistiche dal punto di vista ambientale. Invece, dovrebbero essere condotti livelli di test più elevati come l’OCSE 302 o 303.
Gli standard naturali (NATRUE, COSMOS) e la biodegradabilità
Come già accennato la biodegradabilità non viene valutata all’interno di un Safety assessment che valuta le sostanze dal punto di vista del profilo di rischio per l’uomo. Tuttavia la biodegradabilità è un parametro importante valutato sotto il profilo della sostenibilità per via dell’impatto ambientale.
Gli standard naturali utilizzano il parametro della biodegradabilità come uno dei cardini per selezionare le materie prime che possono essere utilizzate in un prodotto cosmetico sotto il cappello dello standard o meno.
La biodegradabilità per lo standard NATRUE
Lo standrad Natrue indica “Nel rispetto della biodegradabilità, della compatibilità ambientale dei derivati naturali devono essere valutate le sostanze che sono tensioattivi destinati ad essere utilizzati a fini di pulizia separatamente per garantire che possano essere restituiti al circolo naturale senza causare problemi.
Queste sostanze devono soddisfare requisiti particolarmente severi per quanto riguarda la loro biodegradabilità (es. detersivi, regolamento (CE) n. 648/2004).”
L’uso di microplastiche, che vengono prevalentemente da combustibili fossili come polimeri plastici sintetici fabbricati da olio minerale, è incompatibile con i requisiti stabiliti dello standard NATRUE e con la formulazione di autentici cosmetici naturali e biologici.
Solo sostanze cosmetiche conformi a una delle tre classificazioni consentite da NATRUE (naturale, identica alla natura o naturale derivata).
La biodegradabilità per lo standard COSMOS
“Per stimolare i processi di produzione e consumo sostenibili, il settore della cosmesi biologica e naturale sta utilizzando alcune semplici regole, disciplinate dai principi di prevenzione e sicurezza su tutti i livelli della filiera, dalla produzione delle materie prime alla distribuzione dei prodotti finiti.”
Tali regole sono:
- Promuovere l’uso di prodotti da agricoltura biologica e nel rispetto della biodiversità
- L’utilizzo delle risorse naturali in modo responsabile e nel rispetto dell’ambiente
- L’impiego di lavorazioni e produzioni che siano pulite e rispettose della salute umana e dell’ambiente
- L’integrazione e lo sviluppo del concetto di “Chimica verde».
- Antischiuma e altri ausiliari possono essere utilizzati nelle tecniche biotecnologiche (se vengono rimossi nella materia prima finale).
- Prodotti non persistenti, bioaccumulabili e tossici.
Sono vietate le sostanze notoriamente bioaccumulabili e non biodegradabili. Si tratta di sostanze che non superano l’OCSE 301; => classificazione TEGEWA III = elevato impatto delle acque reflue
Come sono fatti i siliconi dei cosmetici?
Ora seguimi, ci divertiremo con un pizzico di chimica resa più masticabile possibile.
I siliconi sono composti artificiali del silicio, ovvero polimeri formati da una lunga catena di atomi di Silicio ed Ossigeno (Si-O) da cui prendono il nome di silossani.
A seconda della lunghezza della catena di silossano, dei legami con gruppi funzionali e delle ramificazioni, i siliconi possono assumere diverse consistenze: da oleosa a gommosa.
Più le catene polimeriche risultano strutturate e maggiore è la resistenza del materiale che ne risulta.
I siliconi a catena lineare sono liquidi e utilizzati come lubrificanti.
Catene lineari di Si-O in cui il Silicio coordina due gruppi metilici sono dette polidimetilsilossani (PDMS). Catene di polidimetilsilossani a corta catena possono assumere forma ciclica come ad es. il ciclopentasilossano ad es. è caratterizzato da 5 atomi di silicio alternati a cinque atomi di ossigeno in forma ciclica con ciascun silicio che coordina due gruppi metilici.
Le catene di polidimetilsilossano a basso peso molecolare si presentano come liquidi leggeri, dal tocco setoso ed i più leggeri sono volatili. Col termine dimeticone si intendono catene di polidimetilsilossani lineari inodori, fotostabili ed incolori.
Quelli ad elevato peso molecolare sono liquidi più pesanti, filmogeni e antischiuma. I più lunghi sono gomme e possono presentare un terminale alcolico prendendo il nome di dimethiconol.
In cosmesi si utilizzano anche alcuni silossani reticolati utilizzati come elastomeri come ad es. il dimethicone crosspolymer.
Questi composti possiedono anche proprietà texturizzanti, emollienti, condizionanti ed idrorepellenti.
Vedi anche l’articolo di Giulia Penazzi: https://cosmesi.farmacista33.it/siliconi-cosmesi/
La biodegradabilità dei siliconi
E’ chiaro che in linea di massima i materiali più strutturati sono più difficili da degradare, mentre i più semplici risultano maggiormente degradabili.
Questo discorso vale anche per materiali come i siliconi, infatti contrariamente a quanto si pensi, i siliconi a corta catena più leggeri si degradano in determinate condizioni.
Chiaramente una spatola in silicone per cucinare non subirà un processo di degradazione in tempi accettabili, mentre il dimeticone utilizzato nei prodotti cosmetici normalmente sì.
Gli studi scientifici indicano infatti che siliconi leggeri a corta catena si degradino una volta entrati a contatto con il suolo. Di seguito si riporta un testo proposto da Dow Corning dal titolo:
Degradazione di polimeri siliconici nel terreno: gli studi disponibili
“Molti prodotti di consumo contenenti polimeri di silicone, o polidimetilsilossano (PDMS), sono utilizzati in modo tale da consentire loro di entrare negli impianti municipali di trattamento delle acque reflue. Poiché il PDMS è così insolubile in acqua, si divide nei fanghi, senza causare effetti negativi sulle operazioni dell’impianto di trattamento. I fanghi vengono quindi distrutti mediante incenerimento, sepolti in una discarica o sparsi su campi da golf, boschi e campi agricoli come fertilizzante. Quest’ultima tecnica di smaltimento consente al PDMS di entrare nell’ambiente del suolo.
Cosa accade ai polimeri di silicone nel suolo
Nel suolo, il polimero PDMS può idrolizzare in piccoli silossanoli solubili in acqua, con il prodotto finale che è il dimetilsilandiolo monomerico (DMSD).
Questa idrolisi è probabilmente abiotica, perché può richiedere mesi o anni in terreno umido, ma solo giorni quando il terreno si asciuga. Il fenomeno è stato documentato in un’ampia gamma di suoli negli Stati Uniti e in 12 minerali comuni del suolo, il che significa che il catalizzatore è diffuso in natura. Sebbene questi esperimenti siano stati eseguiti con PDMS puro, l’incorporazione di PDMS nei fanghi non impedisce l’idrolisi. Tuttavia, rende il processo più graduale, probabilmente perché il PDMS deve prima diffondersi dal fango prima che possa entrare in contatto con le superfici del suolo e iniziare a idrolizzarsi. Se il fango viene prima compostato, il PDMS rimarrà intatto senza alcun effetto sul processo di compostaggio e quindi si degraderà dopo che il compost è stato miscelato con il terreno.
I prodotti dell’idrolisi da decomposizione
Il prodotto di idrolisi, DMSD, può microbicamente degradare a CO2 e silicato inorganico, l’ultimo dei quali dovrebbe fondersi con il silicato già presente nel suolo. Solo piccole quantità di DMSD sono state trovate nei suoli in seguito all’idrolisi del PDMS applicato ai fanghi, mentre un ampio programma di monitoraggio sul campo ha rilevato meno DMSD del previsto nei suoli modificati con fanghi che mostrano una perdita di PDMS. Una volta nell’atmosfera, si prevede che il DMSD si degradi a causa delle reazioni indotte dalla luce solare, proprio come altri siliconi volatili. Se invece viene lavato via dall’aria durante le piogge, il DMSD può essere ossidato in acqua da una reazione simile indotta dalla luce solare, oppure può essere ossidato microbicamente nel suolo.” (2)
NB In questo articolo non abbiamo affrontato il tema dal lato REACH o dal lato di sostanze sulle quali vi sono limitazioni. Il tema, ad esempio, dei siliconi volatili, o ciclici in generale, non viene affrontato, ma qualora lo richiedeste potrebbe rappresentare un tema da approfondire. Come sempre apriamo un tema per offrire un dialogo e per raccogliere il parere di più figure professionali, il confronto costruttivo è utile a tutti.
Leggi anche: https://scienzacosmetica.com/cosmetologia/green-claim-e-lotta-al-greenwashing-la-direttiva-ue-2024-825/
Bibliografia:
1. Biodegradation of Silicones (Organosiloxanes)
Part 9. Miscellaneous Biopolymers and Biodegradation of Polymers
Prof. Dr. Habil. Jerzy Lukasiak,Dr. Agnieszka Dorosz,Dr. Magdalena Prokopowicz … See all authors
First published: 15 January 2005
Citations: 3
Int J Cosmet Sci
. 1998 Oct;20(5):296-304.
doi: 10.1046/j.1467-2494.1998.181595.x.
2. Environmental fate and effects of dimethicone and cyclotetrasiloxane from personal care applications
Affiliations expand
PMID: 18505514
DOI: 10.1046/j.1467-2494.1998.181595.x
Inoltre studi indipendenti come Dow Chemicals