La vite
La coltura della vite sembra sia iniziata già nel II millennio a.c. nell’isola di Creta.
Anticamente a Creta si venerava una divinità femminile identificabile con la Terra Madre.
Dal culto della Grande Madre a Creta emerse il dio del vino, del toro e delle donne.
La dea è spesso raffigurata associata a serpenti e statuette femminili. Il culto di una dea simile (da Esiodo chiamata Rea) si ritrova anche in Asia Minore sotto il nome di Cibele.
Anche i Sumeri conoscevano una dea nota come Dea Vite o Madre Vite e presso gli Ittiti vi era una divinità raffigurata con un grappolo d’uva nella mano destra.
Dal culto della vite, connesso a quello del toro, che era uno dei simboli di Dioniso, è derivato il culto greco della vite dionisiaca.
Il mito di Dioniso
Dioniso è l’esperienza della totalità, ma anche colui che viene sacrificato, rinasce, risorge.
Nel mito si racconta che Zeus, sotto le spoglie di uomo mortale, si invaghì di Semele, la mortale figlia di Cadmo, re di Tebe.
La giovinetta rimase incinta e fu convinta dalla gelosissima Era a chiedere a Zeus di rivelarsi nelle sue vere sembianze. Zeus ne fu contrariato ,si infuriò e si mostrò lanciando fulmini che incenerirono Semele.
Ermes allora pensò di salvare il bambino cucendolo nella coscia di Zeus finchè fosse giunto a termine e potesse nascere a tempo debito.
Era, furiosa per l’infedeltà del marito decise di vendicarsi e convinse due Titani ad uccidere il bambino Dioniso; così i Titani lo fecero in sette pezzi che poi fecero bollire.
A quel punto intervenne la nonna Rea che lo resuscitò. Le membra cotte di Dioniso furono bruciate e ridotte in cenere. Da quella cenere spuntò una pianta: la sacra vite.
Il culto di Dioniso in Grecia ebbe origine in un villaggio: Ikarion, nome che rimanda all’isola di Ikaria, uno dei luoghi di nascita del dio e la capitale dell’isola era Oinòe,”la città del vino”.
Il culto di Dioniso in Grecia ebbe origine in un villaggio: Ikarion, nome che rimanda all’isola di Ikaria, uno dei luoghi di nascita del dio e la capitale dell’isola era Oinòe,”la città del vino”.
Anche nell’Antico Testamento si parla della vite. Si racconta che Noè, uscito dall’arca, abbia piantato una vite che gli avrebbe dato del buon vino del quale poi, come nel racconto ben noto, egli si inebriò.
Una vinificazione primordiale certamente era già praticata in tempi preomerici nell’antica Grecia e da lì introdotta poi nell’Italia meridionale e in Sicilia. Si ritrovano scene di vinificazione anche in monumenti dell’antico Egitto.
Gli Etruschi e i Latini hanno certamente contribuito al progredire di tecniche viticole.
I Romani usavano vendemmiare e vinificare.
Il succo d’uva prodotto dalla pigiatura eseguita con i piedi dagli schiavi, i “calcatores” dopo essere stato in qualche modo filtrato passando attraverso ceste di vimini che trattenevano bucce e raspi, veniva versato in giare di terracotta interrate.
Questo mosto era lasciato a fermentare per circa dieci giorni, poi le giare erano sigillate con un coperchio. Il mosto vi resterà ad invecchiare per mesi o anche per anni.
Il vino consumato dai Romani è un vino di gradazione alcolica molto elevata che deve essere sempre allungato con acqua, di sapore piuttosto amaro, infatti veniva “corretto” con miele e spezie.
I baccanali
A Roma il dio greco del vino, Dioniso, era chiamato Bacco.
I Baccanali erano le celebrazioni dedicate al dio, feste orgiastiche del culto orfico-dionisiaco (misteri-dioniso) In particolare il nome Baccanali era usato per designare quei misteri dionisiaci che si erano diffusi, partendo dalla Magna Grecia, in Etruria e poi a Roma a partire dal II secolo a.C.
Tito Livio riferisce di fatti molto gravi correlati a questo culto. Questi riti, originariamente praticati nella Magna Grecia, in principio si tenevano tre volte l’anno nei boschi di Stimula (il nome latino di Semele, la madre di Dioniso) presso l’Aventino e ad essi partecipavano soltanto rispettabili matrone romane.
Più tardi tuttavia, una sacerdotessa , Annia Paculla, ne trasformò il rituale,ammettendovi anche uomini. Presto si diffuse la voce che durante questi riti avvenissero delitti e nefandezze. Questo provocò un movimento dell’opinione pubblica a condanna di questa pratica.
Si giunse al famoso “senatus consultus de Bacchanalibus” con il quale si condannavano i riti bacchici.
Si giunse al famoso “senatus consultus de Bacchanalibus” con il quale si condannavano i riti bacchici.
Con un processo straordinario, che vide ben 7000 accusati tra uomini e donne, si condannarono gli adepti.
Coloro che erano solamente affiliati della setta furono imprigionati, mentre coloro che erano accusati di gravi delitti, quali frodi, stupri, omicidi, furono condannati alla pena capitale.
In realtà a Roma gli affiliati alla setta erano visti come pericolosi sovvertitori dell’ordine sociale e morale, come accadrà poi in seguito per i cristiani.
Come conseguenza di questi severi provvedimenti, scomparve in Roma la celebrazione dei Baccanali.
Botanica farmaceutica
I semi degli acini d’uva sono utilizzati come fonte di olio utilizzato sia in cosmesi che in ambito alimentare.
Dal punto di vista alimentare si tratta di un olio abbastanza pregiato grazie al sapore gradevole e alla resistenza all’irrancidimento.
Contiene circa l’11% di acidi grassi saturi (acido oleico) ed il 73% di acidi grassi insaturi (acido linoleico), insieme all’olio di cartamo è quello che ha il maggior contenuto in acidi grassi polinsaturi.
I costituenti principali degli acini d’uva sono Polifenoli e antociani entrambe con spiccate proprietà antiossidanti (rutina, quercetina, tannini, sali minerali)
Nei semi: lipidi (gliceridi di acido erucico, stearico e palmitico), fitosteroli e tannini.
Dall’analisi dei costituenti si evince che le proprietà degli acini d’uva sono molteplici:
- azione positiva sui vasi sanguigni dovuta ai flavonoidi
- azione protettiva degli acidi organici
- rimineralizzante per via dei sali minerali
Riferimenti:
Manuale di botanica farmaceutica- Elena Maugini- Ed. Piccin
Dizionario di fitoterapia e piante medicinali – Enrica Campanini- Ed. Tecniche Nuove
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