Come parlare ai bambini: 5 consigli utili
Introduzione
Ti sei mai trovata/o a dover spiegare qualcosa di complesso ad un bambino e non sapevi come fare? Magari ci hai anche provato, ma non sei riuscita/o a ad attirare la sua attenzione per più di qualche minuto.
Parlare e riuscire ad essere ascoltati attentamente da un bambino è effettivamente non è facile!
Non ti preoccupare, è perfettamente normale! I bambini non sono dei “piccoli adulti” e proprio per questo c’è bisogno di alcuni accorgimenti per poter entrare in comunicazione con loro che, però, non tutti conoscono.
Di seguito ecco dei consigli, derivanti dalla mia esperienza in classe, che possono fare al caso vostro!
Stimolare i suoi interessi
Tutti noi siamo più stimolati e concentrati quando facciamo qualcosa che ci piace; a volte capita anche di non renderci conto del tempo che passa, rimanendo immersi nella nostra attività senza stancarci. Per esempio, vi sarà capitato di iniziare a leggere un libro particolarmente avvincente, guardare una serie tv o praticare uno sport che vi piace e rendervi conto solo una volta arrivati al termine che è passato molto tempo da quando avevate iniziato.
Questo avviene perché, quando facciamo qualcosa che stimola i nostri interessi, ne traiamo piacere e proviamo emozioni e sensazioni positive continue (gioia, eccitazione, etc.), avviando un processo che in psicologia è definibile come: “Stato di flow”[1]. Senza dilungarmi troppo nella spiegazione (in fondo alla pagina trovate un link per approfondire l’argomento) lo stato di flow si innesca quando il soggetto è talmente coinvolto su ciò che sta facendo da non accorgersi più del contesto che lo circonda (tempo che scorre, distrazioni, esigenze fisiologiche, etc.) poiché tutta l’attenzione è riposta sull’azione che sta svolgendo.
Se tuttavia un adulto è comunque capace di impegnarsi in un’attività nonostante non sia di suo gradimento, grazie alla sua maturazione e alle necessità dettate dalla società (lavoro, relazione con gli altri, etc.), un bambino non può riuscire in tale intento poiché vive il mondo in ottica puramente egocentrica e per questo motivo non sente la necessità di doversi impegnare in qualcosa che non stimoli la sua attenzione.
Per questo motivo quando ci si trova a dover spiegare qualcosa ad un bambino è di fondamentale importanza legarsi il più possibile a quelli che sono i suoi interessi.
Esempio pratico per comunicare con i bambini
Facciamo un esempio pratico: ci troviamo di fronte ad Andrea, un bambino o una bambina a cui dobbiamo spiegare le caratteristiche delle principali figure geometriche (quadrato, rettangolo, etc.).
Se ora partissimo con il disegnare un rettangolo su un foglio e illustrando come i lati siano uguali a coppie, probabilmente Andrea non ci degnerebbe neanche di uno sguardo.
Proviamo invece ad andare con lui nella sua cameretta e sfidiamolo nel trovare più figure geometriche possibili (non è necessario all’inizio fare la distinzione tra figure piane e solide, ci arriveremo per gradi); in questo modo, agli occhi di Andrea, l’attività sarà stimolante sia perché proposta come un gioco, sia perché riguarda un suo contesto abituale di vita e, dunque, i propri interessi.
Trovate tutte le possibili figure geometriche, chiediamogli di osservarne una in particolare con attenzione (ad esempio un rettangolo) e di provare a elencarne le caratteristiche; guidiamolo con domande stimolo come: “I lati sono tutti uguali?”, oppure: “Ma tra questa forma e un’altra ci sono differenze? Quali?”, o ancora: “Perché secondo te questo oggetto ha proprio questa forma?”.
A questo punto il gioco è fatto, Andrea sarà sempre più concentrato nell’osservare quanto propostogli e, senza accorgersene, ha già cominciato a imparare i nomi delle diverse figure geometriche che lo circondano (quadrato, rettangolo, etc.) così come le loro caratteristiche principali; Andrea è ora in stato di flow! Ovviamente il nostro compito è quello di guidarlo, senza mai mortificarlo, verso l’obiettivo cui ci eravamo preposti.
Non solo, più sarete capaci di rendere l’attività sfidante per Andrea più vi accorgerete che sarà lui stesso a voler saperne sempre di più sull’argomento!
Suscitare emozioni positive e aumentare il suo senso di autoefficacia
Quando svolgiamo un’attività essa risulta per noi piacevole e divertente se riesce a essere sufficientemente sfidante per le nostre conoscenze e capacità e, al contempo, ci dà la possibilità di emergere positivamente in quello che stiamo facendo.
Per fare un esempio pratico, immaginando di giocare una partita di volley, l’attività risulterà per noi divertente se da un lato disponiamo di capacità sufficienti per gareggiare e dall’altro non vi siano avversari troppo deboli o esageratamente più forti di noi (in entrambi i casi ci annoieremmo).
La stessa cosa avviene durante l’apprendimento: i bambini hanno bisogno di attività sfidanti e adeguate alle loro capacità per essere stimolati e, dunque, attenti alle nostre spiegazioni. Non solo, essendo soggetti in fase di crescita necessitano di un continuo senso di autoefficacia sia per formare una salda autostima, sia per incoraggiarli nel provare a scoprire sempre qualcosa in più.
Questo avviene perché tutti i soggetti, fattispecie per i bambini, hanno la capacità inconscia di legare un’emozione provata (positiva o negativa) ad un evento specifico, fissandolo nella memoria del soggetto; tale processo è chiamato “Flashbulb”[2].
Ciò significa che, se un bambino durante un’attività sperimenta sensazioni ed emozioni positive, apprenderà più facilmente quanto proposto, ricorderà maggiormente quanto svolto e vorrà nuovamente cimentarsi in una sfida simile.
Contrariamente, se dovesse provare sensazioni ed emozioni negative, in futuro non sarà stimolato nel cimentarsi nuovamente in lavori o esercizi simili e cercherà di evitarli in ogni modo.
Ne deriva come sia di fondamentale importanza che i bambini ricevano da noi adulti continui rinforzi positivi durante le nostre proposte, anche e soprattutto qualora dovessero incontrare delle difficoltà; frasi come: “Sono sicuro che tu ce la possa fare!”, oppure: “Se sei riuscito a fare questo, puoi sicuramente riuscire a fare anche quest’altro!” sono sicuramente vincenti.
Quando dobbiamo spiegare qualcosa ad un bambino, dunque, ricordiamoci sempre di proporgli attività adeguate e per lui stimolanti!
Portare esempi concreti
Tornando ad osservare per un attimo l’esempio riguardo le figure geometriche, si può notare come l’attività proposta si basa su elementi concreti (gli oggetti nella cameretta di Andrea).
Nei bambini infatti, il pensiero astratto inizia a formarsi a partire dai 7 anni in poi e dipende fortemente dal grado di maturità emotiva che ogni soggetto possiede (ecco svelato perché argomenti di studio come i dinosauri sono proposti solo dalla classe terza della scuola primaria); ciò significa che ragazzi di 5, 6, o 7 anni non possono apprendere qualcosa solo attraverso l’ascolto, ma necessitano di attività concrete e di agganciamenti al proprio contesto di vita.
Per fare un esempio pratico vi propongo un esperimento svolto nella mia classe lo scorso anno per spiegare loro che l’aria occupa uno spazio:
Come prima cosa abbiamo preso un catino e l’abbiamo riempito d’acqua.
Successivamente, abbiamo infilato in un bicchiere un fazzoletto di carta in modo che fosse schiacciato sul fondo.
A questo punto i bambini hanno provato a immergere il bicchiere “a testa in giù” per poi tirarlo fuori dall’acqua e scoprire che, colo loro grande sorpresa, il fazzoletto rimaneva incredibilmente asciutto.
Il mio compito è stato quello di raccogliere e guidare le loro ipotesi fino a portarli alla conclusione corretta, ovvero che l’aria occupa uno spazio e, dunque, l’acqua non riesce a toccare il fazzoletto e bagnarlo.
Con un semplice e divertente esperimento i bambini hanno compreso un concetto decisamente complesso e di non facile memorizzazione!
Non solo, anche a distanza di tempo diversi alunni hanno chiesto con insistenza di fare altri esperimenti!
Adeguare il linguaggio
Come precedenemente affermato, i bambini non sono dei “piccoli adulti”; ciò significa che, proprio perché sono in fase di crescita, non possiedono esperienza tale per decifrare la complessità del contesto che li circonda.
Detto in altre parole, essi faticano molto a comprendere i nessi di causa ed effetto.
Per questi motivi i bambini necessitano della mediazione degli adulti che possano decifrare per loro il contesto; in ambito didattico questo si definisce “semplessità”[3].
In tal senso, per avere una comunicazione efficace con i più piccoli è necessario adattare il linguaggio, cercando di renderlo il più “concreto” possibile.
Usare parole semplici e legate al loro contesto di vita è la strada migliore.
Termini troppo complessi o astratti portano il bambino a distrarsi poiché fatica a comprendere quanto proposto.
Ad esempio, tornando dal nostro amico Andrea, se dovessimo spiegargli cos’è il “principio di Archimede” sarebbe estremamente inefficace dirgli: “La spinta di Archimede afferma che un corpo immerso in un fluido subisce una forza dal basso verso l’alto pari alla quantità di liquido spostato”; probabilmente a metà frase Andrea ha già cominciato a fare altro!
La strada corretta, invece, è quella di “semplessare” il linguaggio: “Immagina di essere seduto al tuo banco e che, senza preavviso, io ti spinga via e ti rubi il posto; tu che cosa fai?”; a questo punto il bambino risponderà che a sua volta ci spingerà per riprendersi il posto. Noi, dunque, continueremo: “Ecco, l’acqua fa la stessa cosa: quando qualcosa si immerge sposta una certa quantità d’acqua che vuole riprendersi il posto, quindi cerca di spingerlo via! Se la quantità d’acqua che viene spostata è molta, l’oggetto rimarrà a galla perché viene spinto con più forza rispetto al suo peso”.
Senza banalizzare la realtà, ma semplicemente decifrando la complessità del contesto siamo riusciti a spiegare un principio di fisica molto complesso per bambini così piccoli!
Porre continue domande guida e di feedback
È molto importante, quando vogliamo spiegare qualcosa ai bambini, non dare per scontato che stiano capendo ciò che stiamo dicendo solo perché non ci pongono domande.
Difficilmente i bambini, soprattutto i più piccoli, chiedono il significato di qualcosa durante una spiegazione; spesso, la paura di essere rimproverati supera la curiosità di capire.
È importante, dunque, continuare a porre domande sia per poter sia guidare il bambino verso l’apprendimento prefissato, sia per fornirci un’idea circa il suo grado di apprendimento. Questo ci permetterà di “aggiustare il tiro” in corso d’opera.
Considerazioni
Ora possiamo dirlo con certezza: parlare con un bambino è tutt’altro che banale!
Tuttavia, mettendo in pratica i piccoli consigli forniti hai ora a disposizione più strumenti per riuscirci.
[1] Per maggiori informazioni sullo stato di flow: https://it.wikipedia.org/wiki/Flusso_(psicologia)
[2] Per maggiori informazioni sul processo di “Flashbulb”: https://en.wikipedia.org/wiki/Flashbulb_memory
[3] Per maggiori informazioni sulla semplessità: http://nuovadidattica.lascuolaconvoi.it/agire-didattico/9-la-trasposizione-didattica/semplessita/